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martedì, ottobre 30, 2007

I Guerrieri dello Spirito - Leonardo V Arena

AutoreLeonardo V Arena
TitoloI Guerrieri dello Spirito
Titolo Italiano
Anno2006 - Mondadori
Giudizio****

Un argomento che affascina molti è oggigiorno il legame che c'è
tra i kamikaze dell'11 settembre ed i kamikaze e altri affini delle
epoche passate. Come in moltissimi altri casi, il termine “kamikaze” è
applicato “a pioggia” dagli occidentali piuttosto che dagli attori in prima
persona. Essi definiscono se stessi di solito in altro modo, forse
"Guerrieri dello spirito" è una definizione che potrebbe piacergli.

Ricordo che "kamikaze" deriva da "kami" (spiriti/spirito elementari)
e "kaze" (vento, tempesta) e si riferisce in origine a tutt'altro: alla
tempesta che impedì l'invasione mongola del Giappone nel XIV secolo.

Il libro di L. V. Arena è un testo godibilissimo che esplora la linea
di confine tra il mondo materiale e il mondo dello spirito, del quale
si assiste oggi ad un grande ritorno (ma forse non ci ha mai
lasciato ?). Da questo punto di vista esso indaga sui vari gruppi
che hanno tentato sia in occidente sia in oriente di superare la
contraddizione insita nel dualismo tra il corpo, visto soprattutto
nella sua espressione limite e quindi come arma, e lo spirito
che normalmente rifugge dalla materialità del combattimento.
D’altro canto il combattimento quando mette in gioco la vita è
l’atto col quale corpo si approssima alla morte, a Thanatos e
quindi ad uno stato “altro” dalla realtà materiale (l'altro corno del
dilemma è il sesso che fa capolino ogni tanto per le abitudini
non proprio ortodosse dei gruppi chiusi).

Questa contraddizione affascina e sconvolge. Si
ondeggia tra l'ignoranza dottrinale che consente a molti
guerrieri occidentali, come Templari e Ospitalieri, di
superarla. Fino alla fondazione e alla deviazione progressiva
della stessa dottrina alle proprie esigenze, come hanno
cercato di fare gli Assassini e i monaci buddisti dediti alla
guerra, e, piu recentemente, anche il nuovo
fondamentalismo islamico.


Scuse che non valgono per i samurai la cui vocazione alla morte
nasce fin dall'inizio della loro carriera. Secondo l’autore sono loro
che in fondo, pur essendo dei laici, hanno rappresentato il modello
ideale del “guerriero dello spirito” colto, che poteva dedicarsi alle
lettere ed alla pittura e quindi avvicinare il (super)uomo completo.
Agli orientali questo riesce credo anche grazie all'"assenza
dell'anima" (nayratmia) che sottende allo Zen o al
buddismo, ma in generale a tutto il loro pensiero. Il samurai non
colpisce con la spada, è questa che, come il verso di un Hai-ku o
il tratto di pennello, scaturisce fuori naturalmente a cercare la
sua perfezione, “parmenidea” oserei dire, nell’atto del colpire
senza alcuna volontà causale all’origine. E’ l'assenza che
permette la fusione tra corpo e spirito, termini di solito
contraddittori: una mistica non del tutto estranea nemmeno
all'occidente in fondo, sebbene al di fuori del pensiero
convenzionale aristotelico.

Questa "assenza" si ritrova anche nell'uso del corpo come
arma assoluta, il senso di sconforto e inevitabilità che proviamo,
quando sentiamo che l'azione kamikaze moderna non può essere
evitata, poiché l'attore è una mera macchina assente (fusa con
La "macchina", normalmente l'aereo per la sua caratteristica
di massimizzare il danno).

Lo stile particolare di Arena merita una citazione. Il progredire del
capitolo è segnato dall'incipit che appare come un’epifania, una
storiella, un episodio raccontato come fosse un romanzo. A volte
può infastidire, ma alla lunga si rivela illuminante molto più dello
snocciolamento di date e avvenimenti. Esso pure, infatti, ci avvicina
allo spirito dei personaggi in gioco. Questo stile è lo stesso degli altri
libri di Arena, che pure consiglio di leggere come "Samurai" e
"Kamikaze" (nel secondo si narra la storia dei piloti giapponesi)
sempre editi da Mondadori in Oscar Storia. Devo dire che lo
stratagemma non è sempre riuscitissimo, a volte è estraniante, ma
migliora con l'età dell'autore di libro in libro.

E' nell'ultimo capitolo che Arena ci mostra le differenze e le
similitudini tra i kamikaze giapponesi e quelli islamici. Le differenze
dottrinali pesano al punto che si possono identificare i gesti e l'atto,
ma le motivazioni profonde appaiono diverse gli uni cercano
disperatamente di salvare la patria senza alcuna contropartita
salvo che la fusione e la scomparsa nel gran fiume dei kami,
mentre gli altri sono in cerca del "martirio" che li eleggerà come
beati in uno dei paradisi monoteisti. Concezione questa
si tutta occidentale, anzi di derivazione manichea e poi
neoplatonica, con la sua ossessione per il puro e il bene
in opposizione all’impuro e al male.

La presenza di una seconda realtà più "vera" fa anche capolino
con la citazione di Matrix nelle conclusioni. E pure ci affascina il
gioco di ruolo, il fantasy, il romanzo gotico ed altro ancora, forme
in fondo d’alterazione della realtà alla ricerca di una seconda
possibilità, segno anche di libertà, parola in cui incorre anche il
libro di Arena e che non sempre si oppone allo spirito. Forse
che Mimesis, il capolavoro di Erich Auerbach sul realismo,
andrebbe riscritto dal punto di vista di un lettore della Terra di
Mezzo.

martedì, aprile 24, 2007

Gli Illuminati e il Priorato di Sion - Massimo Introvigne

AutoreMassimo Introvigne
TitoloGli Illuminati e il Priorato di Sion
Titolo Italiano
AnnoPiemme - 2005
Giudizio****
Tra i più noti esperti di quei fenomeni parareligiosi
che sono le sette e le credenze di massa, M. Introvigne
ha prodotto un agile libretto che ci spiega in dettaglio
come Dan Brown abbia costruito abilmente su delle
incredibili lacune e sabbie mobili di sette inventate
a volte per puro caso, credenze popolari e storiografia
alla buona (come le arcinote leggende sui templari che
sarebbero rimasti nell'ombra anche dopo la loro
distruzione).

Il libro è godibilissimo sotto l'aspetto storico con
un’accurata ricostruzione delle fonti, e degli intrecci,
passaggi di testimone (spesso contestati da
interminabili cause in tribunale), finte riscoperte, finte
parentele e per finire finte edizioni retrodatate ex-post
che sono classiche nell'evoluzione delle sette esoteriche
quando cercano di inventarsi una tradizione.
Scoprire che il Priorato di Sion non è che una setta
composta nel suo periodo d'oro in tutto di tre
o quattro persone opera di un fascistello francese
disoccupato è qualcosa che non si può perdere. L'autore
trova anche il tempo di accennare al noto film Disney
Il mistero dei Templari che prolunga e rafforza la
tradizione della scomparsa "sottotraccia" dei cavalieri
e che permette ad Introvigne di spiegarci con una dotta
disquisizione l'origine NON massonica del disegno del
retro del Great Seal (il sigillo ufficiale degli Stati
Uniti: un occhio posto su di una piramide tronca, disegno
che appare anche su tutte le banconote da un dollaro).

Assolutamente comico è poi il gran finale tra X-files,
i "rettiliani" e il principe Filippo (già proprio lui
Filippo d'Inghilterra) con l'ennesima interpretazione
dell'incidente del Pont du L'Alma.

Più impegnativi sono invece alcuni temi che emergono
qua e la nel libro, soprattutto all'inizio, e nelle
conclusioni. In primo luogo, si chiede Introvigne,
perchè le grandi religioni, nonostante il loro revival
post-illuministici, nonostante le moltissime persone
che sono affamate di spiritualità, non riescono ad
attrarre più di un 20% circa di credenti veramente
osservanti. In genere l'altro 60% di chi si dichiara
credente (circa l'80% nei paesi occidentali) non
appartiene ad una chiesa in particolare, è un "credente
senza chiesa" ("believier without belonging"). Questo
non appare però come l'effetto della modernità e della
secolarizzazione, ma è l'opposto: è nei "credenti
senza chiesa" che si assiste al ritorno di credenze
esoteriche, pseudo-scientifiche, e quindi alla
speculazione che le chiese, in particolare quelle
delle grandi religioni monoteistiche siano
detentori di poteri occulti e persino di "grandi"
complotti. (D'altra parte anche le chiese vi si
adattano trovando nel culto popolare dei santi e
di una ritrovata mistica, un mezzo, sempre più
veicolato dai media, anche per ri-attrarre a se gli
appassionati delle sette segrete e dei misteri,
quei "credenti senza chiesa" appunto.)

Quali motivazioni che spingono delle persone in
genere razionali a credere in un metacomplotto
(o grande complotto). La risposta è a mio parere
determinata dalla voglia di trovare delle risposte
facili e deterministiche alla complessità del mondo,
cosa che non sempre le grandi chiese, in quanto
organizzatrici di bisogni spirituali su vasta scala,
non riescono sempre a dare. Paradossalmente se la
scienza fosse più conosciuta e diffusa avremmo un
numero maggiore di "credenti con chiesa", infatti,
i temi gnostici/complottisti sarebbero presi per
quello che sono ovvero bufale in parte ben riuscite.
L'essoterismo è l'altra faccia di questa medaglia,
esso nasce proprio perché le credenze esoteriche,
essendo, di fatto, al di fuori della cultura ufficiale,
possono dare quelle spiegazioni semplici che servono
a collocarsi/collocare nel mondo se stessi e gli altri
con un ruolo ben preciso, buono o cattivo che sia.

Voglio infine notare che al contrario dell'autore io
penso che sia illusorio credere che la percentuale
dei credenti strettamente osservanti ad una chiesa
superi il 40%, forse in eccezionali periodi di "great
awakening" può arrivare al 50%, ma ci sarà in ogni
caso una notevole percentuale di persone, che si
dichiara "credenti senza chiesa", anche perchè
colloca i bisogni spirituali nelle cose individuali
più che collettive. (Diceva un famoso capo indiano
"le chiese servono a litigare su Dio".) Quindi il
fatto che l'80% si dichiari credente, ma solo il 20%
va in chiesa, non è caratteristico della nostra epoca,
ma é probabilmente un dato storico con qualche
oscillazione del 10% in più o in meno. Naturalmente le
motivazioni che Introvigne dà del "grande complotto"
sono coerenti con questo: una buona parte di quel 60%
di "credenti senza chiesa" motiva il suo rifiuto
d’appartenenza con le teorie del "grande complotto"
e questo fa vendere molti libri a Dan Brown.