lunedì, novembre 13, 2006

Adua - Domenico Quirico

AutoreDomenico Quirico
TitoloAdua
Titolo Italiano
Anno2005
Giudizio****

C’è storia e storia. Quella di Quirico non è mai noiosa, semmai è quasi furiosa fin dalla primissima pagina dove gli eventi si accavallano e si inseguono sullo sfondo della tormentata Etiopia. Poi man mano che si va avanti, all’apparizione degli italiani sull’altipiano, s’insinua il sospetto che c’è qualcosa che ci riguarda da vicino. Quel primo breve capitolo sull’Etiopia affermerei che quasi si rimpiange che sia così breve, si vorrebbe sapere di più su quella terra esotica e strana e del suo impero fuori del tempo, ma per fortuna veniamo subito calamitati dalla descrizione dell’Italia fin-de-siecle. Qui apprendiamo che quel mondo non era poi tanto meno esotico e strano dell’Etiopia. Colpisce soprattutto come la vita assumesse strane forme: chi può immaginare le difficoltà economiche di un ufficiale di cavalleria alle prese con le spese di rappresentanza o semplicemente di scuderia. E poi la tragicomica rivalità tra piemontesi e napoletani. E che dire dei maccheroni del generale Primerano. C’è una buona attenzione alla storia sociale e materiale che sullo sfondo delle beghe politiche rende il quadro molto vivido.
Ma nonostante le italiche “esoticherie” procedendo avanti riconosciamo come il sospetto divenga certezza: molti dei difetti nazionali apparivano già all’epoca. Le rivalità personali che oltrepassano il senso dello stato, l’approssimazione e il dilettantismo nelle questioni tecnico-scientifiche, l’invadenza dei burocrati, e non ultima la pessima tendenza al far prevalere i costrutti teorici nei confronti della pratica, cosa che in campo militare è notoriamente devastante. Questa parte è la più interessante forse per chi vuole capire la “mente italiana” fin dal suo nascere con le sue rivalità anche geografiche ed elitarie, sebbene si vede anche qui una certa fretta di andare avanti dell’autore. La fase pre-Adua è un poco frettolosa a dire il vero e il lettore attento ha difficoltà a seguire una cronologia piuttosto vacillante, mentre nel sequito, quando si tratta di descrivere le operazioni sul terreno, i tempi sono scanditi molto bene; ma a parziale giustificazione possiamo dire che il libro sarebbe diventato molto pesante se alla disamina socio-politica si fosse aggiunta anche una dettagliata descrizione degli eventi precedenti la battaglia.
Arriviamo così al vero cuore del libro, la dettagliata descrizione della battaglia di Adua del 1896 tra il corpo di spedizione comandato dal governatore dell’Eritrea, il generale garibaldino Oreste Baratieri, e l’esercito scalcagnato di Menelik II. Precede questa l’accurata ricostruzione dell’informale riunione tra generali nella quale le basi del disastro sono poste con la definizione di una strategia di attacco ambigua (l’annoso problema filosofico delle regole d’ingaggio esisteva anche allora nella mente del politico-generale Baratieri). Nel corso della battaglia gli errori teorici causano la catastrofe in primis la cartografia affidata ad uno “schizzo” del campo di battaglia fatto distribuire dal generale Valenzano che è palesemente sbagliato come si vede molto bene anche dalle due carte riportate nel libro. E poi le difficoltà del terreno, non rilevato che in modo approssimativo, fanno il resto: la brigata Dabormida si perde in un vallone laterale separandosi dal resto dell’armata segnando la propria condanna e quella delle altre due colonne già in difficoltà. Come in un’epopea salgariana gli abissini vanno alla carica tra urla furiose e schioppettate maldirette, ma sono all’incirca centomila e anche se i nostri impassibili generali si comportano sì alla Yanez da uomini coraggiosi, freddi e incuranti della morte, la frittata è ormai fatta. La descrizione di Quirico non lascia scampo agli errori italiani ed è ben costruita sia dal punto di vista spaziale che temporale (mancherebbe solo qualche fotografia anche recente del terreno delle ambe e dei valloni, ma sono curiosità per i lettori appassionati geografi).
Possiamo pensare che ben gli sta ai nostri antenati colonialisti da strapazzo, ma appare chiaro che gli abissini non avrebbero mai vinto contro un esercito europeo ben schierato e con i collegamenti in ordine, com’è sempre accaduto quando inglesi o francesi avevano qualche problemino nelle colonie. Quello che è veramente incredibile è come poi come Baratieri, tornato in Italia, fu alla fine assolto nel processo intentatogli. Un processo non processo con la sentenza già scritta come è abituale costume italico, in cui non ci sono i responsabili e non si capisce mai di chi è la colpa, e che sarà certo un modello per molti processi futuri anche recenti della nostra storia.
Più che il revanscismo fascista al quale il sottotitolo rimanda, fatto storico ormai lontano nel tempo e nel sentire quotidiano e che è materia di un lungo dibattito tra storici, il libro a mio parere si apprezza proprio per le similitudini con il modus operandi dello stato italiano e più in generale delle classi dirigenti italiane anche in quest’apparentemente lontano inizio di terzo millennio. Rispetto ad oggi l’Italia fin-de-siecle ci apparirà lontana ed esotica, ma viceversa sembra che le nostre classi dirigenti siano rimaste le stesse di un secolo e più fa.