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mercoledì, febbraio 27, 2008

Buono, Pulito e Giusto - Carlo Petrini

AutoreCarlo Petrini
TitoloBuono, Pulito e Giusto
Titolo Italiano
Anno2005
GiudizioIneguale, ma sanguigno....***1/2 (al libro), ***** (all'opera)


Un libro merita di solito un attenzione nel tempo decrescente. 

Di solito dopo una fase di assestamento passa dall'attenzione 

dei lettori, lì sul banco delle novità, agli scaffali posteriori 

dove finisce per essere esaurito. Tuttavia alcuni libri 

esprimono a tal punto le opinioni dell'autore che diventano 

libri forti, vere bibbie del loro pensiero. Uno di questi é 

certamente il libro di Carlo Petrini il fondatore di Slow Food. 

Esso ruota intorno alla triade del titolo: "buono" come 

sinonimo di gustoso, appetibile, che piace che da piacere, 

liberandosi dai complessi di colpa della ghiottoneria;

"pulito" in quanto prodotto in modo naturale rispettando 

l'ambiente e la biodiversità; "giusto" senza creare ingiustizie 

sociali.


Dico subito che il libro é non facile, rugoso, ineguale.  

Petrini si avventura nella complessa operazione di legare i fili 

di tutta una serie condizioni e fatti che determinano il nostro 

attuale rapporto col cibo, e poi da questi, generare, o almeno 

tentando di farlo, nuove definizioni.  Cercando alla fine di 

fondare quella che Petrini definisce la nuova gastronomia...

per capirci certamente alcune cose possono essere condivise:


"...il cibo e la sua produzione devono riottenere la giusta centralità

tra le attività umane e i criteri che guidano le nostre azioni vanno

ridiscussi. Il punto infatti, da ormai troppo tempo, non é più la

quantità di cibo prodotto, bensì la sua qualità complessa, che va

dal gusto alla varietà, dal rispetto per l'ambiente, gli ecosistemi e

i ritmi della natura in generale, a quello per la dignità umana."


L'elenco degli addentellati della nuova gastronomia, l'attenzione

a svecchiare la vecchia figura del gourmet, il tentativo di lanciare

nel mondo un appello a quel che rimane della cultura popolare

diventa un programma, un programma anche politico assai

complesso. E sono inevitabili allora un pò di pedanti precisazioni 

e ripetizioni. In confronto il libro di F Lawrence Non c'é sull'etichetta

(sempre della stessa Einaudi) é più elegante e scorrevole ed 

anch'esso fa scoprire molte cose raccapriccianti collegate 

alla produzione alimentare di massa.


Per fortuna, il procedere non proprio fluido del pensiero

petriniano é interrotto da alcuni aneddoti, talvolta divertenti e 

istruttivi, talvolta un pò noiosi, sulle situazioni in cui si é trovato 

l'autore scoprendo la sua vocazione. Comunque sono interessanti 

sguardi sul mondo anche sull'America ad esempio e le sue 

entusiaste, a volte eccessive, vocazioni biologiche.


Venendo appunto ad una critica dei contenuti piuttosto che della

forma direi che sono d'accordo con l'impostazione dell'autore sul

biologico. Quando diventa un biologico industriale allora

iniziano i problemi come é ben sottolineato con la storia dell'olio

d'oliva in California. Viceversa poca attenzione viene posta 

all'equilibrio tra corpo e cibo, solo ad un certo punto se ne parla

quando l'autore cita i suoi problemi fisici. Andrebbe invece 

approfondita la questione degli eccessi alimentari o in forma 

inversa della mancanza di una attività fisica adeguata che consenta 

questo equilibrio. Questo proprio in un contesto dove si vuole 

salvaguardare la salute umana.


Più in generale si pone poi la grande questione della

modernità e postmodernità. Petrini si pone nella scia di

un Carl Sitte l'architetto viennese che voleva salvare le piazze

e gli artigiani, o di un Ivan Ilich che sull'onda del primo shock

petrolifero riscopriva la bicicletta in totale alternativa all'auto per

salvare la città europea dalle devastazioni del traffico.

In Petrini troviamo ad esempio la volontà di salvare

il mercato rionale con la sua filiera corta, la più corta possibile.

Tutti e tre non invocano un ritorno all'antico, ma un 

compromesso con il moderno.


Mi chiedo se ha senso salvare la sapienza popolare,

quello che é il livello zero dell'economia, quella che Fernand 

Braudel definiva cultura materiale che é la base del modello di 

produzione preindustriale prima che il capitalismo si diffondesse 

in modo planetario ?

Dobbiamo chiederci se un modello bio-compatibile lo

sia anche con l'industriale, certamente Petrini sa questo quando 

dice che si devono trovare nuovi modi naturali di produzione e

trasformazione. Ma produzione e trasformazione significa industria

e quindi artificiale. Quello che si vuole é verosimilmente 

quella tecnologia verde cara al fisico e saggista di successo 

Freeman-Dyson in alternativa a quella grigia della prima 

modernità. Io suggerirei di usare il termine trans-naturale 

per indicare quelle produzioni industriali che siano anche 

bio-compatibili.


Andrebbe valutata anche l'opera complessiva

di Carlo Petrini, la fondazione di Slow Food, dell'Università

di Scienze Gastronomiche, il lancio di Terra Madre e le altre

iniziative "a rete" (non solo informatica, ma rete d'individui, di

gruppi, nella stragrande maggioranza dei casi volontari).

Complessivamente tutto ciò vale un cinque stelle abbondante,

ma al libro, complesso e con cui fare i sempre conti, ne ho

date tre e mezzo.

 

Recentemente SF si é anche proposta per studiare la qualità

delle mense scolastiche, sarebbe certamente un opera meritoria

se la spesa si dimostrasse come sembra non eccessiva, rispetto

all'attuale panorama scarsamente "pulito" e spesso non "buono".


Il messaggio é valido ? Direi di sì, ma io sono meno 

ottimista. Il grigio é ancora lì e non sembra volersi fermare 

facilmente come i TIR che invadono e devastano le nostre 

strade continuando a portare i prodotti prima su e poi di nuovo 

giù perchè il prezzo salga come vuole la regola del capitalismo 

commerciale. Più modestamente io credo che dovremo 

accontentarci di qualche isola verde e lottare per conservarla.


mercoledì, gennaio 02, 2008

[curiosità] The wrong country - Il paese sbagliato

In omaggio a Micheal Jackson recentemente scomparso
ho tradotto questa nuova prefazione del suo libro
"Great Beers of Belgium" comparsa nella nuova edizione del
2006. E' un'autentica chicca deliziosamente scritta ricordando
gli "swinging sixties" e uno di quei momenti topici della vita in
cui il nostro modo di pensare cambia a causa di una
improvvisa scoperta in una sera in cui si è lontani dalla
normale sobrietà preoccupata di questo e di quello.



The wrong country


Il paese sbagliato

Erano stati lanciati fumogeni al matrimonio della
principessa
Beatrice col tedesco Claus Von Amsberg.
John Lennon e Yoko Ono
stavano tenendo un “Bed in”
all'Amsterdam Hilton. Sesso, droga
e rock'n'roll
avevano conquistato il Vondel park (in nome del

poeta omonimo che suona così deliziosamente
vicino alla parola
inglese “fondle”(1)).

Dopo aver lavorato come giornalista in Edinburgo e Londra ero
al primo tentativo con una posizione “estera” ad Amsterdam.
Erano davvero tempi nuovi. Non avevo lamentele riguardo al
sesso, il rock'n'roll era divertente, ma la Jazz scene di
Amsterdam era d'altissimo livello. Nella mia natura di giornalista
davo all'alcool la giusta importanza come droga del mestiere, e la
consumavo con piacere in entrambe le forme di whisky e birra.

Nei paesi civilizzati non avevo mai trovato nessun altro posto
al mondo dove il lattaio portava a domicilio anche la birra: una
confezione da sei bottiglie di Grolsch appariva regolarmente sul
mio uscio. La fermata del tram per l'ufficio era giusto all'angolo
del birrificio Heineken: la birra al caffè di fronte non avrebbe
potuto essere più fresca. Meno di un kilometro lungo il canale
separava la fabbrica della Heineken dalla fabbrica della Amstel.

Di tutte e tre, solo la Heineken era nota internazionalmente
negli “Swinging Sixties”. Tutte sono ora familiari, ma lo stile
di queste birre era già noto a livello mondiale: una birra bionda,
in passato secca, ma oggi più spesso media o dolce, che fu
copiata in origine dalla prima “lager” bionda prodotta nella
città ceca di Pilsen.

Gli olandesi pensavano che la “Pils” fosse la propria birra, ma
questa era piuttosto una birra nello stesso stile di quasi tutte
le altre birre nazionali conosciute in tutto il mondo. Dalla Carlsberg
alla Carling, dalla Coors alla Corona, il loro prodotto principale
era, a varie distanze, sempre derivato dalla birra lager Pilsner
(o Pilsener). Dire che la birra più venduta negli USA era inspirata
dalla lager di una differente città ceca, Budweis, é come tagliare
un capello in quattro.

Milioni di consumatori conoscono solo questo stile di birra,
come milioni di consumatori di vino sono soddisfatti della vaga
dizione “bianco secco”, fatto sempre con le stesse uve Chardonnay,
e per moltissimi americani noto come “Chablis”.

Essendo cresciuto con le Ales britanniche che erano il Bordeaux
del mondo della birra, io non potevo certo sopravvivere sul solo
“bianco secco”, comunque ben fatto fosse.

Il conformismo non è un istinto che l'abitante di Amsterdam ha
nel cuore. La loro città è una delle grandi città liberali del
mondo, e per questo io l'amo, ma non avrei potuto aspettare fino
ad ottobre per bere la scura bokbier olandese. Diventavo inquieto.
Un amico mi disse che c'era una scelta più ampia nel sud cattolico.
Egli menzionò due provincie. Una, nonostante la sua posizione
meridionale, era chiamata Nord Brabante (il “Sud” Brabante è nel
Belgio). L'altra era il Limburgo (anche in Belgio c'è una provincia
con lo stesso nome e una città in Germania pure porta quel nome).

Il mio amico mi disse che in queste provincie molte cittadine
erano famose per i loro carnevali invernali anarchici. Così decisi
di andare a vedere coi miei occhi anche con l'idea di scrivere un
pezzo. Seduto in treno al mio fianco c'era un uomo dall'aspetto
miserabile che si manifestò presto essere un fondamentalista
protestante dei villaggi nelle provincie a nord e ad est di
Amsterdam. Leggeva un giornaletto scandalistico inglese molto
famoso per la sua copertura salace di peccatucci sessuali. Io
feci l'errore di chiedergli in quale direzione era il buffet.
Cosicchè quello mi ingaggiò in una conversazione, o meglio mi
subissò con un monologo sulle deficienze morali del sud cattolico.
Quando attraversammo il Reno mi sembro come di passare il
Rubicone.
Avvicinandosi alla città di Breda egli mi avvisò che le strade
sarebbero state piene di gente semiubriaca in costume da carnevale
che bevevano birra. Per lui questo implicava che avrei dovuto
girare gli occhi da un'altra parte. Piuttosto, le mie intenzioni
erano di segno opposto, ma pensai bene di non dire nulla, le
mie orecchie avevano già subito abbastanza.

Ogni volta che il treno si fermava in stazione, il suo giudizio
diventava più critico. Quando non ne potei più del suo disgusto
decisi di scendere dal treno. In che città ? Maastricht (2),...
forse ? Fui inghiottito dalla folla, birre alla mano, che sembrava
essere in una circolazione senza fine attorno al caffè della
stazione. La piazza della stazione era piena di bevitori e gente
che danzava sulla musica dei Beatles. L'intera città era ubriaca, e
presto lo fui anch'io.

L'Uomo in maschera.

Tra i bicchieri senza fine di biondissima lager olandese qualcuno,
con una maschera di John Lennon sul viso, mi passò un calice
contenente una birra scura. Senza temere vertigini di sorta, ne
presi un sorso abbondante. Ero del tutto impreparato per la
ricchezza della miscela fermentata (3) e, un momento dopo, il
colpo dell'alcool, da qualche parte intorno all'apice della testa.

“Ti piace ?”. Egli appariva sorpreso e stupito. Forse ne aveva
tracannato già qualche bicchiere. “Si” replicai, “E' favolosa”.

“E' una birra Trappista”, egli intonò con voce seria. “Se ti
piace questa sorta di cose sei nel paese sbagliato. Dovresti
andare al di là del confine.” Poi la notte, l'alcool e gli
spintoni tra la folla e la musica ci fecero prendere strade
diverse. Non seppi mai il suo nome, ne vidi la sua faccia
dietro la maschera.
Il giorno dopo, con il malditesta della sbornia e la barba
lunga, attraversai il confine, come un rifugiato dall'annuale
momento di disinibizione degli olandesi.

Fu la mia prima visita al Belgio. Avevo scoperto che non tutte
le birre europee continentali erano delle Pils. Presto realizai
che il Belgio aveva una selezione di stili di birra propri che
non avevo mai visto altrove. Provai la De Konninck, la
Westmalle Dubbel e Tripel, e una Gueuze (4) non identificata,
ciascuna delle quali mi stupì più della precedente.

Rimasi per un weekend lungo. Quando me ne andai, le mie
prospettive e le mie passioni erano state ri-allineate.

Il giornalismo mi avrebbe portato a Belfast ed in Bangladesh,
di fretta qui, brevemente là, ma nel seguito il sangue di John
Barleycorn (5) mi chiamò nel suo cammino. Ho trovato grandi
birre in Alaska e Patagonia, e meravigliosi whiskies in Islay
e Hokkaido, ma in Belgio un Beer Hunter non può mai riposare sul
suo sgabello.

Michael Jackson,
Antwerp, giugno 2006



1. Fondle: carezze amorevoli o erotiche, “coccole”.
2. Maastricht, nel Limburgo, é famosa per il suo carnevale di
strada con i costumi che le persone elaborano per
un intero anno ed un forte accento umoristico ed infine con
somiglianze al carnevale veneziano per tradizione e costumi.
3. Ho tradotto “brew” con “miscela fermentata” che rende
l'idea ad un pubblico italiano generico, chi conosce il
termine inglese può naturalmente pensare a questo che è
specifico del mondo della birra e non ha un corrispondente
esatto in italiano.
4. La Gueuze è un blend di Lambic giovane e matura. La
Lambic è a sua volta una birra particolarmente complessa
prodotta nella regione di Bruxelles con oltre 200 tipi di
lieviti indigeni (wild yeast) , spesso addizionata con
frutta e spezie, e soggetta a diverse fasi di fermentazione
anche cinque e più, con un processo produttivo anche molto
lungo (in media tre anni).
5. John Barleycorn, è la personificazione del malto d'orzo
nella tradizione inglese originata nel medioevo. Egli compare
come in una canzone della stessa epoca in cui il malto
personificato viene maltrattato e ucciso dando come
risultato però l'ebbrezza dell'alcool. Alcuni autori
vedono in questo un simbolismo cristiano utilizzato per
diffondere il cristianesimo tra i “barbari” bevitori di birra.

mercoledì, dicembre 20, 2006

I Bottoni di Napoleone - Le Couteur Penny e Burreson Jay

AutoreLe Couter Penny & Burreson Jay
TitoloNapoleon's buttons
Titolo ItalianoI Bottoni di Napoleone
Anno2006
Giudizio****(1/2)

Una ragione probabilmente c'era se il vostro libro di
chimica organica era noioso da morire: la chimica organica era
descritta come qualcosa d'avulso dalle applicazioni e
nello stile piatto assolutamente privo d'emozione che fa credere
che la scienza sia qualcosa che distrugge, o quantomeno è in
contraddizione, con l'arte o la poesia (detto in modo più colto:
disincanta = toglie l'"incanto" del mondo).

Al contrario c'é parecchio per incantarsi ed emozionarsi nel
libro di Le Couter - Burreson, ora tradotto in italiano, qui si
racconta la storia di 17 molecole, nonché delle moltissime altre
citate nel libro, come la teobromina e l'anandamide, componenti
del cioccolato, la crocetina, l'acido picrico, l'indigotina e la mauveina,
e così via (in realtà ogni capitolo tratta una famiglia di molecole
o più famiglie legate da proprietà comuni), e del loro rapporto
con la storia umana, politica e sociale, senza però mai perdere
di vista l'importanza della struttura molecolare, che soprattutto
da un punto di vista scientifico, è spiegata in modo esemplare (per
i lettori non avvezzi alla materia nel primo capitolo la notazione
usata è chiaramente spiegata). Appena leggermente più debole
appare il libro sul piano storico, nel senso che in molti casi si limita
a raccontare i fatti essenziali, ma è anche vero che per approfondire
si dovrebbe rimandare, ad esempio, alle centinaia di monografie che
sono state dedicate alla storia politica ed economica del commercio
delle spezie o del caucciù. Si pensi solo agli immensi meccanismi
che queste nostre "passioni" per le "droghe" hanno messo in moto
sul piano storico: guerre, invasioni, trattati di pace che includevano
il monopolio o la perdita del monopolio del commercio delle spezie
(curiosissimo é il caso dello scambio tra inglesi e olandesi che ha
portato New Amsterdam a divenire New York a causa della noce
moscata). Non parliamo poi dello zucchero o del caffè che hanno
rivoluzionato due continenti Africa e America a causa della tratta
degli schiavi.

Un altro pregio del libro è che fa comprendere molto bene come
la differenza di qualche atomo tra una molecola ed un'altra sposta
enormemente il confine tra l'utile e l'inutile, o fatto ancora più
interessante, tra il legale e l'illegale. Le "droghe", nel senso di
spezie, sono davvero droghe, medicine, psicofarmaci e talvolta
persino sostanze cancerogene (almeno sugli animali), e l'uso anche
culturale che ne facciamo non dovrebbe farcelo scordare. Per fare
un esempio uno di questi composti aromatici, il metileugenolo,
come l'eugenolo o il safrolo che sono tra le molecole sulla scena nel
primo capitolo del libro, è contenuto anche nel nostro basilico
genovese. Come anche Le Couter e Burreson spiegano molto
chiaramente, tali sostanze sono un "insetticida" naturale, infatti,
si trovano in maggiore concentrazione nelle piante giovani. E' noto
d'altra parte che il metileugenolo, al contrario dell'eugenolo, è
cancerogeno su culture cellulari di fegato di topi e ratti tanto da porsi
il problema di un reale pericolo per chi ne assume in quantità
eccessiva, magari mangiando un bel piatto col pesto genovese [1]
(molte delle sostanze cancerogene solo su animali di laboratorio
sono per "preucazione" sospese dal mercato in alcuni paesi, ad
esempio, negli USA il ciclamato di sodio, un dolcificante, presente
nella Coca Light in Italia, è bandito per questo motivo). Questo
fa capire come l'illusione del "naturale" propugnata da certo
ecologismo sia alquanto antiscientifica e come il confine tra
"droga" e droga sia davvero sottile e indefinito.

Il libro è interessante anche per come la storia della scienza mostri la
propria cosiddetta serendipidità. Spesso quello che si cerca non si
trova e si trova qualcos'altro per caso, che poi si rivela anche
d'impatto più devastante di quello che si cercava in un primo
momento. William Perkin, che cercava di sintetizzare il chinino, il
celebre rimedio per la malaria, trovò invece la mauveina, una
molecola che si rivelò essere un potente, resistente e soprattutto
economico colorante viola artificiale e diede inizio alla sintesi
artificiale dei coloranti, che vide poi il prevalere della grande
triade di industrie chimiche BASF, Bayer e Hoechst.

Non molto azzeccato per la verità c'è soltanto il titolo: il caso di
Napoleone, oltre ad essere dubbio, non è propriamente una
questione di chimica quanto di fisica delle transizioni di fase.
E' probabile però che se gli autori avessero usato solo il
sottotitolo o le sue possibili varianti, il libro sarebbe passato
molto più inosservato.

[1] vedi http:
//www.sssa.it/news.asp?id={EE43C98C-0021-473E-A25A-38742139997D}