Autore | Leonardo V Arena |
Titolo | I Guerrieri dello Spirito |
Titolo Italiano | |
Anno | 2006 - Mondadori |
Giudizio | **** |
Un argomento che affascina molti è oggigiorno il legame che c'è
tra i kamikaze
epoche passate. Come in moltissimi altri casi, il termine “kamikaze” è
applicato “a pioggia” dagli occidentali piuttosto che dagli attori in prima
persona. Essi definiscono se stessi di solito in altro modo, forse
"Guerrieri dello spirito" è una definizione che potrebbe piacergli.
e "kaze" (vento, tempesta) e si riferisce in origine a tutt'altro: alla
tempesta che impedì l'invasione mongola del Giappone nel XIV secolo.
Il libro di L. V. Arena è un testo godibilissimo che esplora la linea
di confine tra il mondo materiale e il mondo dello spirito, del quale
si assiste oggi ad un grande ritorno (ma forse non ci ha mai
lasciato ?). Da questo punto di vista esso indaga sui vari gruppi
che hanno tentato sia in occidente sia in oriente di superare la
contraddizione insita nel dualismo tra il corpo, visto soprattutto
nella sua espressione limite e quindi come arma, e lo spirito
che normalmente rifugge dalla materialità del combattimento.
D’altro canto il combattimento quando mette in gioco la vita è
l’atto col quale corpo si approssima alla morte, a Thanatos e
quindi ad uno stato “altro” dalla realtà materiale (l'altro corno del
dilemma è il sesso che fa capolino ogni tanto per le abitudini
non proprio ortodosse dei gruppi chiusi).
Questa contraddizione affascina e sconvolge. Si
ondeggia tra l'ignoranza dottrinale che consente a molti
guerrieri occidentali, come Templari e Ospitalieri, di
superarla. Fino alla fondazione e alla deviazione progressiva
della stessa dottrina alle proprie esigenze, come hanno
cercato di fare gli Assassini e i monaci buddisti dediti alla
guerra, e, piu recentemente, anche il nuovo
fondamentalismo islamico.
Scuse che non valgono per i samurai la cui vocazione alla morte
nasce fin dall'inizio della loro carriera. Secondo l’autore sono loro
che in fondo, pur essendo dei laici, hanno rappresentato il modello
ideale del “guerriero dello spirito” colto, che poteva dedicarsi alle
lettere ed alla pittura e quindi avvicinare il (super)uomo completo.
Agli orientali questo riesce credo anche grazie all'"assenza
dell'anima" (nayratmia) che sottende allo Zen o al
buddismo, ma in generale a tutto il loro pensiero. Il samurai non
colpisce con la spada, è questa che, come il verso di un Hai-ku o
il tratto di pennello, scaturisce fuori naturalmente a cercare la
sua perfezione, “parmenidea” oserei dire, nell’atto del colpire
senza alcuna volontà causale all’origine. E’ l'assenza che
permette la fusione tra corpo e spirito, termini di solito
contraddittori: una mistica non del tutto estranea nemmeno
all'occidente in fondo, sebbene al di fuori del pensiero
convenzionale aristotelico.
Questa "assenza" si ritrova anche nell'uso del corpo come
arma assoluta, il senso di sconforto e inevitabilità che proviamo,
quando sentiamo che l'azione kamikaze moderna non può essere
evitata, poiché l'attore è una mera macchina assente (fusa con
La "macchina", normalmente l'aereo per la sua caratteristica
di massimizzare il danno).
Lo stile particolare di Arena merita una citazione. Il progredire del
capitolo è segnato dall'incipit che appare come un’epifania, una
storiella, un episodio raccontato come fosse un romanzo. A volte
può infastidire, ma alla lunga si rivela illuminante molto più dello
snocciolamento di date e avvenimenti. Esso pure, infatti, ci avvicina
allo spirito dei personaggi in gioco. Questo stile è lo stesso degli altri
libri di Arena, che pure consiglio di leggere come "Samurai" e
"Kamikaze" (nel secondo si narra la storia dei piloti giapponesi)
sempre editi da Mondadori in Oscar Storia. Devo dire che lo
stratagemma non è sempre riuscitissimo, a volte è estraniante, ma
migliora con l'età dell'autore di libro in libro.
E' nell'ultimo capitolo che Arena ci mostra le differenze e le
similitudini tra i kamikaze giapponesi e quelli islamici. Le differenze
dottrinali pesano al punto che si possono identificare i gesti e l'atto,
ma le motivazioni profonde appaiono diverse gli uni cercano
disperatamente di salvare la patria senza alcuna contropartita
salvo che la fusione e la scomparsa nel gran fiume dei kami,
mentre gli altri sono in cerca del "martirio" che li eleggerà come
beati in uno dei paradisi monoteisti. Concezione questa
si tutta occidentale, anzi di derivazione manichea e poi
neoplatonica, con la sua ossessione per il puro e il bene
in opposizione all’impuro e al male.
La presenza di una seconda realtà più "vera" fa anche capolino
con la citazione di Matrix nelle conclusioni. E pure ci affascina il
gioco di ruolo, il fantasy, il romanzo gotico ed altro ancora, forme
in fondo d’alterazione della realtà alla ricerca di una seconda
possibilità, segno anche di libertà, parola in cui incorre anche il
libro di Arena e che non sempre si oppone allo spirito. Forse
che Mimesis, il capolavoro di Erich Auerbach sul realismo,
andrebbe riscritto dal punto di vista di un lettore della Terra di
Mezzo.
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