Autore | Pietro Adamo e Stefano Benzoni |
Titolo | Psychofarmers(R) |
Titolo Italiano | |
Anno | Edizioni Isbn 2005 |
Giudizio | **** |
Accompagnato da un ricchissimo e rivelatore apparato iconografico
storico pubblicitario sugli psicofarmaci, il libro si pone come
una vera enciclopedia (per questa parte merita cinque stelle *****)
che esplora tutti gli aspetti medici, etici ed estetici dell’uso e
dell’abuso degli psicofarmaci.
Innovativa appare la descrizione della fiction connessa
(ma poi non tanto fiction) attraverso libri, film e opere in
qualche modo connesse con gli psicofarmaci, come il celebre Paura e
Delirio a Las Vegas, altri film iconici come All That Jazz di Bob
Fosse che morirà come il suo protagonista, o canzoni celebri come
Lithium dei Nirvana, saggi celebri e provocatori come Prozac
Nation, ma persino episodi dei Simpson, di Desperate Housewives e
per finire anche Zio Paperone.
Ma l'elenco delle "icone" è addirittura impressionante se si pensa che
sono citati: Woody Allen, Dario Argento, William S. Burroughs, Johnny
Cash, Philip K. Dick, Rainer W. Fassbinder, Bret E. Ellis, Francois
Truffaut e Ray Bradbury, Judy Garland e Janis Joplin, Kurt Cobain e
Syd Barrett, David Lynch e Andy Warhol, la "maggiorata" Marilyn
Monroe e la magrissima intellettuale dell'anarcocapitalismo Ayn Rand
e da qui a J. P. Sartre, J. F. Kennedy, Elvis Presley.... sembra quasi
che chi manca sia in netta minoranza, almeno nella cultura dominante
d'oltreoceano e dei suoi derivati.
Gli aspetti trattati sono molteplici e questa semplice
recensione difficilmente potrà dare un idea della complessità
del fenomeno analizzato che certamente neanche
il libro esaurisce, ma ha il merito di porre come aspetto
problematico del postmoderno. Infatti, l’uso di queste cosiddette
“droghe legali” è strettamente connesso all'interpretazione cattiva
o buona d’alcuni miti dell'immaginario collettivo che travolgono
anche sistemi di riferimento come l'asse destra - sinistra per
rispuntare da ogni direzione.
Come già è evidente in Napoleon’s buttons (vedi recensione del
1 febbraio 2007) il labile confine tra droghe proibite e legali è
specialmente poi nel campo dei “quasi-legali” psicofarmaci in
pratica inesistente essendo il passaggio dall’uso all’abuso tanto
facile e diffuso. Condivido completamente il punto di vista degli
autori: gli psicofarmaci sono medicine utili in qualche caso, ma
l’abuso sistematico è da evitare, senza poi parlare delle strane
“scoperte” dell’industria farmaceutica.
Curiosa a questo riguardo è l'iconografia ormai fuori moda perché
non politically correct del "vecchietto nevrotico" al quale si
consigliavano alla buona farmaci dagli effetti massicci sul sistema
nervoso centrale che oggi diremmo devastanti. Anche la storia
che vuole la tardiva diffusione degli psicofarmaci nei paesi orientali,
e.g. il Giappone, apparentemente causata dal fatto che alcune
patologie da loro non esistevano "prima" che esistessero anche
i farmaci per curarle appare sospetta. Un sospetto che investe
anche noi ora con la querelle sulla sindrome d'iperattività dei
bambini e la recente introduzione del rimedio miracoloso Ritalin
(la vera "guest star" negli episodi delle serie TV ricordate sopra).
Tra le teorie più curiose e almeno per me sconclusionate cito
quella che vorrebbe il Prozac come “rivelatore della nostra vera
natura genetica”, l'idea di Peter Kramer che in seguito ha portato
al successo il libro di Elizabeth Wurtzel - Prozac Nation.
Certamente l’azione di alte dosi e la nascita di una dipendenza nel
caso degli psicofarmaci come il Prozac è in grado di fare una
(apparente o reale) tabula rasa nel cervello di alcuni, ma cosa
c’entri coi geni è tutto da scoprire. Se l’azione del farmaco è tale
da creare su uno strato “vergine”, un "se" differente, questo
probabilmente spiega il suo successo come ingenerante una
sensazione liberatoria. Se questo sia qualcosa di stabile o mera
illusione è probabilmente ancora da scoprire. Infatti, da quanto
scrivono gli autori, l'azione degli antidepressivi di ultima
generazione, detti SSRI (tra questi è proprio il Prozac) non è
ancora del tutto chiara scientificamente e alcune conseguenze,
come il problema di un aumento dei suicidi, non sono ancora
state indagate a fondo.
Un commento separato è necessario per il saggio finale (***):
inizia bene, ma poi si perde un poco nell'affanno di mettere
Focault nella partita. Credo che la cosa migliore sia il ragionamento
sulla divaricazione tripla che affligge il problema e che provo a
descrivere qui:
1) psicofarmaci come cura col problema del ruolo dei medici e della
medicalizzazione e il rapporto con la società che cerca di conservarsi
(qui l’aspetto “di destra” della cosa: il medico, psichiatra o psicologo,
è affine al poliziotto o al prete, vigilatore dell’integrità morale)
riservando la fenomenologia dell’abuso anche in questo caso solo a
speciali categorie (lo sciamano ieri, il rocker o la star oggi);
2) psicofarmaci come svago con i vari aspetti culturali e nella loro
diffusione di massa e quindi dell’abuso di massa, non detto, non
passato attraverso i canali di controllo istituiti dalla società (i medici
generici subentrano nel ruolo degli specialisti, fino ad arrivare
all’autoprescrizione, e alla farmacia “online”), senza contare l’effetto
emulativo degli stimolanti/tranquillanti legali: alcool, tabacco e,
perché no, caffeina che è comunque uno stimolante (vedi il
successo di Red Bull o Starbucks) che consente un passaggio
“morbido” dal legale, al semi-legale, fino all’autoprescrizione
e all’abuso;
3) il rifiuto della pillola che poi ritorna però sotto la forma
ammissibile (sul versante del pensiero progressista “antipsichiatrico”
stavolta) della psicodelia, liberazione dal “male” gestito dalle
multinazionali che s’inventano malattie e cure (ma in realtà è
sempre la natura ludica a farla da padrona: così assistiamo, come
in altri campi, alla lotta tra lo “psichedelico=prodotto_biologico naturale”
e lo “psicofarmaco=prodotto_industriale artificiale”).
“2” mi sembra il centro con il ruolo delle maggioranze silenziose
uso-abusanti, ma sono possibili anche le altre interpretazioni che
possono diventare, in epoca di facili superficiali isterismi, anche del
tutto divergenti.
PS il titolo, "contadini della psiche", non chiedetemi che significa
perché anche se ha un’apposita voce nel libro non è per niente
spiegato dagli autori.
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