Un libro merita di solito un attenzione nel tempo decrescente.
Di solito dopo una fase di assestamento passa dall'attenzione
dei lettori, lì sul banco delle novità, agli scaffali posteriori
dove finisce per essere esaurito. Tuttavia alcuni libri
esprimono a tal punto le opinioni dell'autore che diventano
libri forti, vere bibbie del loro pensiero. Uno di questi é
certamente il libro di Carlo Petrini il fondatore di Slow Food.
Esso ruota intorno alla triade del titolo: "buono" come
sinonimo di gustoso, appetibile, che piace che da piacere,
liberandosi dai complessi di colpa della ghiottoneria;
"pulito" in quanto prodotto in modo naturale rispettando
l'ambiente e la biodiversità; "giusto" senza creare ingiustizie
sociali.
Dico subito che il libro é non facile, rugoso, ineguale.
Petrini si avventura nella complessa operazione di legare i fili
di tutta una serie condizioni e fatti che determinano il nostro
attuale rapporto col cibo, e poi da questi, generare, o almeno
tentando di farlo, nuove definizioni. Cercando alla fine di
fondare quella che Petrini definisce la nuova gastronomia...
per capirci certamente alcune cose possono essere condivise:
"...il cibo e la sua produzione devono riottenere la giusta centralità
tra le attività umane e i criteri che guidano le nostre azioni vanno
ridiscussi. Il punto infatti, da ormai troppo tempo, non é più la
quantità di cibo prodotto, bensì la sua qualità complessa, che va
dal gusto alla varietà, dal rispetto per l'ambiente, gli ecosistemi e
i ritmi della natura in generale, a quello per la dignità umana."
L'elenco degli addentellati della nuova gastronomia, l'attenzione
a svecchiare la vecchia figura del gourmet, il tentativo di lanciare
nel mondo un appello a quel che rimane della cultura popolare
diventa un programma, un programma anche politico assai
complesso. E sono inevitabili allora un pò di pedanti precisazioni
e ripetizioni. In confronto il libro di F Lawrence Non c'é sull'etichetta
(sempre della stessa Einaudi) é più elegante e scorrevole ed
anch'esso fa scoprire molte cose raccapriccianti collegate
alla produzione alimentare di massa.
Per fortuna, il procedere non proprio fluido del pensiero
petriniano é interrotto da alcuni aneddoti, talvolta divertenti e
istruttivi, talvolta un pò noiosi, sulle situazioni in cui si é trovato
l'autore scoprendo la sua vocazione. Comunque sono interessanti
sguardi sul mondo anche sull'America ad esempio e le sue
entusiaste, a volte eccessive, vocazioni biologiche.
Venendo appunto ad una critica dei contenuti piuttosto che della
forma direi che sono d'accordo con l'impostazione dell'autore sul
biologico. Quando diventa un biologico industriale allora
iniziano i problemi come é ben sottolineato con la storia dell'olio
d'oliva in California. Viceversa poca attenzione viene posta
all'equilibrio tra corpo e cibo, solo ad un certo punto se ne parla
quando l'autore cita i suoi problemi fisici. Andrebbe invece
approfondita la questione degli eccessi alimentari o in forma
inversa della mancanza di una attività fisica adeguata che consenta
questo equilibrio. Questo proprio in un contesto dove si vuole
salvaguardare la salute umana.
Più in generale si pone poi la grande questione della
modernità e postmodernità. Petrini si pone nella scia di
un Carl Sitte l'architetto viennese che voleva salvare le piazze
e gli artigiani, o di un Ivan Ilich che sull'onda del primo shock
petrolifero riscopriva la bicicletta in totale alternativa all'auto per
salvare la città europea dalle devastazioni del traffico.
In Petrini troviamo ad esempio la volontà di salvare
il mercato rionale con la sua filiera corta, la più corta possibile.
Tutti e tre non invocano un ritorno all'antico, ma un
compromesso con il moderno.
Mi chiedo se ha senso salvare la sapienza popolare,
quello che é il livello zero dell'economia, quella che Fernand
Braudel definiva cultura materiale che é la base del modello di
produzione preindustriale prima che il capitalismo si diffondesse
in modo planetario ?
Dobbiamo chiederci se un modello bio-compatibile lo
sia anche con l'industriale, certamente Petrini sa questo quando
dice che si devono trovare nuovi modi naturali di produzione e
trasformazione. Ma produzione e trasformazione significa industria
e quindi artificiale. Quello che si vuole é verosimilmente
quella tecnologia verde cara al fisico e saggista di successo
Freeman-Dyson in alternativa a quella grigia della prima
modernità. Io suggerirei di usare il termine trans-naturale
per indicare quelle produzioni industriali che siano anche
bio-compatibili.
Andrebbe valutata anche l'opera complessiva
di Carlo Petrini, la fondazione di Slow Food, dell'Università
di Scienze Gastronomiche, il lancio di Terra Madre e le altre
iniziative "a rete" (non solo informatica, ma rete d'individui, di
gruppi, nella stragrande maggioranza dei casi volontari).
Complessivamente tutto ciò vale un cinque stelle abbondante,
ma al libro, complesso e con cui fare i sempre conti, ne ho
date tre e mezzo.
Recentemente SF si é anche proposta per studiare la qualità
delle mense scolastiche, sarebbe certamente un opera meritoria
se la spesa si dimostrasse come sembra non eccessiva, rispetto
all'attuale panorama scarsamente "pulito" e spesso non "buono".
Il messaggio é valido ? Direi di sì, ma io sono meno
ottimista. Il grigio é ancora lì e non sembra volersi fermare
facilmente come i TIR che invadono e devastano le nostre
strade continuando a portare i prodotti prima su e poi di nuovo
giù perchè il prezzo salga come vuole la regola del capitalismo
commerciale. Più modestamente io credo che dovremo
accontentarci di qualche isola verde e lottare per conservarla.